Il processo con cui la famiglia arriva ad avere la diagnosi la diagnosi di ADHD o DSA può essere molto lungo e dispendioso, in termini di costi ed energie. Questo perché spesso non si riconoscono o si negano i segni precoci, attribuendo le difficoltà del bambino a cause diverse da quelle reali. Un bambino con ADHD potrebbe allora essere visto come estremamente vivace, maleducato o sognatore, mentre un bambino con DSA potrebbe essere additato come pigro, demotivato o disinteressato.
Queste attribuzioni, però, a lungo andare possono generare delle dinamiche familiari disfunzionali che calpestano l’autostima e l’autoefficacia dei bambini con DSA e/o ADHD. Sentirsi screditati, svalutati, poco supportati e stimati dai familiari può portare i bambini a credere sempre meno in sé stessi e nelle proprie capacità, arrivando potenzialmente ad abbandonare gli studi (drop-out scolastico).
Talvolta, questo avviene perché i genitori hanno delle aspettative che prendono come metro di paragone il loro stesso funzionamento e, quindi, non comprendono come loro figlio fatichi a svolgere determinati compiti. Altre volte, ciò avviene perché i genitori giustificano le scarse prestazioni del figlio con le loro stesse difficoltà riscontrate a scuola. In entrambi i casi, però, i bambini vengono sempre confrontati con un sistema di riferimento senza essere visti nella loro peculiarità.
Convivere con un figlio con ADHD o DSA
Essere genitore di un bambino con ADHD o DSA può essere davvero impegnativo per diversi motivi, soprattutto quando le due condizioni coesistono.
I familiari possono sperimentare vissuti di stress e tensione, poiché i loro figli richiedono maggior attenzione e supporto a causa delle loro difficoltà attentive, organizzative e la loro scarsa autonomia. I genitori si ritrovano a dover affiancarli nei compiti, affrontando sessioni molto lunghe di studio e rovinando pomeriggi o fine settimana per dedicarli alle attività scolastiche. Tutto questo incrina le relazioni familiari: non si riesce a dedicare lo stesso tempo a tutti i componenti, soprattutto quando si hanno più figli, e si fatica a destreggiarsi tra lavoro, casa e cura di sé.
Si possono provare frustrazione e incomprensione verso i comportamenti del bambino, che possono irritare l’adulto o i fratelli portando a conflitti e scontri familiari. Il genitore può essere indotto a colpevolizzare sé stesso o il bambino rispetto alle sue difficoltà, rimproverandolo continuamente.
Altre volte i genitori potrebbero avere sensazioni di impotenza, in quanto non si percepiscono all’altezza della situazione e sentono di non avere i mezzi per affrontarla. Vorrebbero aiutare il figlio, ma non sanno come fare e come muoversi per sostenerlo al meglio.
Cosa può fare un genitore
Innanzitutto, un genitore dovrebbe ascoltare e osservare con più attenzione suo figlio, accogliendone i vissuti. Partendo dalle loro manifestazioni e da ciò che verbalmente comunicano, sarebbe opportuno che il familiare iniziasse a informarsi e a individuare il giusto percorso da intraprendere. Talvolta sono gli insegnanti a evidenziare le fragilità del bambino e questo, a maggior ragione, è un dato da non sottovalutare.
Un percorso di sostegno è fondamentale per evitare esperienze scolastiche sgradevoli e continui scontri familiari, che a lungo termine possono provocare vergogna, mortificazione, frustrazione, inadeguatezza e sentimenti di inferiorità.
Come prima cosa, è bene capire cosa ostacola la qualità di vita del bambino ed è quindi opportuno individuare il professionista più adatto per valutare la sua condizione. Figure quali il neuropsichiatra infantile, il logopedista e lo psicologo hanno un ruolo primario nell’esaminare i comportamenti del bambino, redigere una diagnosi che possa certificare le sue difficoltà. Lo specialista indicherà inoltre al genitore quali possono essere le strade da intraprendere con lo scopo di supportare al meglio il bambino.
Un altro importante passo è quello di spiegare la diagnosi al proprio figlio con la dovuta cura e utilizzando un linguaggio semplice. Tenerlo all’oscuro porterà il bambino a pensare di avere un problema e che i professionisti lo aiuteranno a risolverlo. È bene, invece, che il genitore attribuisca il giusto senso alle fatiche del figlio, chiarendo che in lui non c’è nessun problema e che le sue difficoltà nascono esclusivamente dalla sua unicità. Ogni bambino è diverso, ognuno ha le sue caratteristiche e qualità: se qualcuno fa meno fatica ad apprendere o ha comportamenti più desiderabili è perché tutti siamo diversi e funzioniamo a modo nostro. Possiamo portare, anche, degli esempi positivi di persone famose che hanno avuto successo pur avendo un DSA o ADHD. Tutto questo dovrà essere ripetuto ogni volta che il bambino si affliggerà per non sentirsi come gli altri, per cui il genitore dovrà armarsi di pazienza e disponibilità.
Dopo la diagnosi si procederà con degli interventi concreti e personalizzati per il bambino: percorsi di potenziamento cognitivo, psicoterapia, interventi psicoeducativi, neuropsicomotricità ecc. Si tratta di trovare la giusta combinazione di azioni che possono sostenere nel modo più adeguato il suo sviluppo.
Molto utile per i genitori può essere l’intervento psicoeducativo del Parent Training che mira ad approfondire la conoscenza del funzionamento cognitivo dei bambini con DSA o ADHD e ad apprendere delle strategie per la loro gestione. Bisogna sempre tenere a mente che davanti ai nostri occhi abbiamo un figlio, non una macchina difettosa. È bene, quindi, far emergere ciò che ci rende umani: empatia, accoglienza, ascolto, comprensione e condivisione delle proprie emozioni al fine di trovare un equilibrio familiare stabile.
Cosa possono fare gli altri familiari: consigli per fratelli e altri conviventi
Se il genitore prova un senso di responsabilità verso il proprio figlio, il quale lo porterà prima o poi ad agire per assicurargli un futuro migliore, lo stesso non si può dire degli altri componenti della famiglia. Fratelli ed altri conviventi si ritrovano a dover condividere la loro vita con bambini che possono risultare fastidiosi, alla ricerca di attenzioni, viziati o maleducati.
Questi familiari dovrebbero essere informati circa il peculiare funzionamento del bambino con DSA o ADHD, facendo loro presente che non si tratta di una malattia ma di una sua particolare caratteristica. Questo permetterebbe di sensibilizzarli circa la tematica e di educarli su come approcciare le persone nella stessa condizione.
I fratelli, in particolar modo, potrebbero sentirsi meno considerati o accusare i genitori di avere delle preferenze. Un consiglio è quello di mantenere sempre una comunicazione aperta relativamente alle proprie emozioni e alle proprie esperienze interne. I genitori, talvolta, possono essere assorbiti dalla quotidianità a tal punto da non notare alcuni malumori latenti. È opportuno, quindi, verbalizzare i propri vissuti in modo tale da riuscire a trovare delle valide soluzioni insieme.
In ogni caso, è sempre bene munirsi di molta pazienza e comprensione. Anche se talvolta può essere difficile, bisogna sempre tenere a mente che i comportamenti del familiare con DSA o ADHD non sono intenzionali. Cercare di conoscerlo più a fondo e offrire il proprio supporto, potrebbe essere un ottimo modo per alleggerire le giornate dei genitori e incrementare l’unione della famiglia.
Questo non deve chiaramente andare a discapito di sé stessi. È opportuno sempre assicurarsi degli spazi e del tempo per mantenere un certo equilibrio emotivo e non vivere in funzione del familiare che necessita di più attenzioni.