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Bullismo e neurodiversità: cos’è, come si manifesta e come si previene  

L’articolo tratta del bullismo, definito come un insieme di azioni offensive ripetute nel tempo, caratterizzate da intenzionalità, ripetizione e asimmetria di potere tra bullo e vittima. Descrive le diverse forme di bullismo ed esplora la relazione tra bullismo e neurodiversità, evidenziando come bambini e ragazzi con DSA o ADHD possono essere più vulnerabili, soprattutto se presentano comorbilità. Suggerisce infine strategie di prevenzione, come educazione, monitoraggio e promozione delle competenze emotive.

Bullismo e neurodiversità: cos’è, come si manifesta e come si previene  

Una tematica di cui si discute molto tra i banchi di scuola e nel web è il fenomeno del bullismo, una realtà dolorosa che riguarda particolarmente da vicino questi due contesti. Le dinamiche del bullismo, infatti, sono  molto comuni tra bambini e ragazzi, ma anche tra adulti, soprattutto quando si trovano dietro una tastiera. 

Cos’è il bullismo

Il termine bullismo deriva dall’inglese “to bully”, ossia prevaricare, essere prepotente. Viene usato per la prima volta dallo psicologo svedese Dan Olweus, il quale inquadra questo fenomeno come quell’insieme di azioni offensive reiterate nel tempo da uno o più persone verso una vittima. 

Si può, quindi, delineare questa dinamica prendendo in considerazione tre caratteristiche che la differenziano da altri atti di violenza: 

l’intenzionalità: la volontà di recare un danno fisico o psicologico alla vittima, prevaricando su di essa e ponendosi in una posizione dominante nella gerarchia sociale; 

la ripetizione: la replicazione sistematica dei comportamenti aggressivi, i quali inducono a sedimentare e fissare il ruolo di bullo e di vittima; 

l’asimmetria relazionale: lo squilibrio di potere tra bullo e vittima, la quale viene appositamente scelta per le sue debolezze e fragilità che innalzano le probabilità del bullo di prevaricarla. 

I comportamenti messi in atto dai bulli possono essere di tipo: 

diretto: messi in atto in prima persona.  

indiretto: messi in atto con l’aiuto di intermediari.  

All’interno di queste due macrocategorie possiamo, poi, ulteriormente differenziare questo fenomeno per categorie più specifiche: 

fisico: picchiare, spintonare, calciare ecc.; 

verbale: offendere, insultare, umiliare, deridere ecc. di cui fa parte anche il bodyshaming;

orientato ad oggetti: danneggiare, imbrattare, rubare ecc.; 

relazionale: isolare, emarginare, parlare alle spalle, diffondere maldicenze ecc.;

psicologico: intimidire, minacciare, sopraffare, perseguitare, assoggettare; 

virtuale (cyberbullismo): si tratta di una tipologia di bullismo moderna, evoluta esponenzialmente con  l’avvento delle nuove tecnologie e di internet. Comprende le precedenti forme descritte, ma si sposta nel web, il quale possiede alcuni vantaggi notevoli. Innanzitutto, permette l’anonimato, evitando l’esposizione personale al giudizio altrui e la possibilità di essere scoperto. La persona può perpetrare bullismo verbale, psicologico, relazionale attraverso profili falsi, identità rubate o avatar nei confronti di una vittima che non potrà identificare il suo aggressore e spesso non può nemmeno distanziarsi  totalmente dall’ambiente informatico. Poi, il cyberbullismo consente di entrare in risonanza con un  pubblico più vasto. È questo il caso di individui che postano video o foto di amici che compiono atti di  bullismo fisico verso persone o animali oppure bullismo orientato ad oggetti per diffondere messaggi di potere o denigrare pubblicamente una vittima.

bullismo a scuola tra ragazzi

I bulli e le vittime

È emerso da alcuni studi che il bullo comprende gli stati mentali e le emozioni della vittima, ma non entra in empatia, ha bassi sensi di colpa e vergogna. Spesso, anche, utilizza dei meccanismi che inibiscono il controllo morale interno, portandolo a deresponsabilizzarsi e a difendersi dall’autocolpevolizzazione. Inoltre, ha una scarsa autostima e scarse capacità relazionali. 

Tutto questo può nascere da una concatenazione di fattori, quali:

disagi interni e mai espressi;  

traumi passati; 

un’educazione ricevuta che puntava sulla aggressività;  

modelli familiari disfunzionali; 

paura del rifiuto;  

stereotipi imposti;  

dinamiche di gruppo.  

La vittima ha delle caratteristiche che possono in parte sovrapporsi a quelle del bullo (scarse capacità relazionali, scarsa autostima e bassa comprensione delle situazioni sociali ambigue), ma possiede generalmente un carattere più insicuro e delle fragilità più visibili. 

Un aspetto che sarà emerso, quindi, è proprio la natura sociale del bullismo, ossia legato a gruppi relativamente stabili e non alla singola relazione tra bullo e vittima. Tutti coloro che si trovano in questo gruppo assumono un ruolo (talvolta inconsapevolmente). In uno studio di Salmivalli e colleghi (1996), si sono individuati ulteriori  personaggi all’interno della scena. Oltre al bullo e alla vittima, possono essere presenti: 

l’aiutante del bullo: colui che prende parte alla prevaricazione senza prendere l’iniziativa, aiuta il bullo a scegliere la vittima e ad immobilizzarla ecc.; 

il sostenitore del bullo: colui che presenzia alla prevaricazione senza fare nulla, ma approvando i  comportamenti del bullo attraverso risate, sghignazzate, urla motivazionali o invitando gli altri a  guardare ecc.;

il difensore della vittima: colui che si schiera dalla parte della vittima, sostenendola, confortandola, aiutandola informando gli altri di questi episodi, proteggendola, vendicandola ecc.;

l’esterno: colui che non è presente, ignora la situazione volontariamente, non prende le parti di  nessuno ecc. 

Bullismo e neurodiversità

La domanda che ci si potrebbe porre è: c’è una qualche relazione tra il fenomeno del bullismo e le condizioni di neurodiversità? Si tratta di un quesito lecito che ci porterebbe a pensare che i bambini con DSA o ADHD  possano essere presi di mira più facilmente a causa delle loro caratteristiche di funzionamento cognitivo che si discostano da quelle tipiche.  

Sebbene la letteratura sia florida in tema di bullismo, DSA e ADHD, poche sono le ricerche che le hanno messe in relazione. Dai dati finora emersi, sembrerebbe che i DSA o l’ADHD non siano dei fattori di rischio diretto di bullismo. Tuttavia, possono esserlo quando ci sono delle comorbilità (altri sintomi psichiatrici concomitanti), che possono portare con più probabilità i bambini/ragazzi a diventare bulli-vittime. Non raramente, infatti, i bulli stessi erano in precedenza delle vittime di bullismo, per questo si parla di “bullo-vittima” come un’unità. 

Questa dualità bullo-vittima potrebbe essere spiegata dal fatto che i bambini/ragazzi con DSA trovano spesso difficile socializzare con i coetanei e questo li mette a rischio di isolamento, emarginazione e bullismo. Alcune vittime reagiscono con aggressività alle prevaricazioni, diventando loro stessi dei bulli. Un meccanismo simile è stato riscontrato anche nei bambini/ragazzi con ADHD, le cui difficoltà relazionali e iperattività sono collegate a disturbi della condotta e scarsa approvazione da parte coetanei. Questo fenomeno di emarginazione e  bullismo può portare a sua volta il bambino/ragazzo a diventare bullo come controreazione. 

Prevenzione del bullismo

Per prevenire questo fenomeno sarebbe opportuno proporre attività educative capaci di agire a livello scolastico e famigliare

diffondendo più consapevolezza verso il fenomeno con letture, film, video o discussioni;

intercettando precocemente situazioni a rischio e attivando un monitoraggio sistematico;

creando uno spazio d’ascolto, che possa far sentire i minori a rischio meno soli e più protetti;

promuovendo competenze emotive e relazionali, che aiutino a socializzare e ad entrare in empatia;

gestendo i casi riscontrati e attivando delle risposte immediate, capaci di accrescere la fiducia verso le figure di riferimento e di stabilire una comunicazione aperta tra scuola e famiglia.

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