Quante lingue esistono?
Partiamo da alcune semplici considerazioni: nel mondo si parlano oltre 6000 lingue in 160 paesi diversi. Oltre la metà della popolazione mondiale è poliglotta. Solamente in Italia, secondo un recente rapporto dell’UNESCO, si parlano 31 tra lingue e dialetti differenti; di queste 12 sono considerate vere e proprie lingue. Le lingue parlate in Italia costituiscono, quindi, uno dei più ricchi e variegati patrimoni linguistici all’interno del panorama europeo.
Quanti sono gli stranieri in Italia?
Anche se esistono alcune differenze nei numeri riportati dalle varie banche dati, come l’Istat per esempio, possiamo comunque affidarci a quanto descritto dal MIM, Ministero Istruzione e Merito, sulla base delle iscrizioni nelle scuole dei vari ordini e gradi. In media, ha cittadinanza straniera più di 1 alunno su 9, senza considerare coloro che sono già divenuti italiani, né chi è italiano con un background familiare di migrazione. Per esempio, nel 2022 le persone di età inferiore a 20 anni naturalizzate sono state 72mila.
Come sono distribuiti sul territorio nazionale?
Sempre il MIM riporta una distribuzione molto disomogenea, concentrata soprattutto al Nord Italia e indipendente dalla nazione di origine (vedi tabella seguente).
Appare quindi evidente come le famiglie bilingui siano oggi sempre più diffuse e riflettono le tante storie, tradizioni e spostamenti che arricchiscono le nostre società. Capire come i bambini apprendono le lingue, sfatare falsi miti e scoprire come sostenere al meglio il bilinguismo in famiglia aiuta i genitori a rendere l’apprendimento naturale e piacevole.
Ma cosa si intende per bilinguismo?
Quando si parla di bilinguismo, ci si riferisce all’abilità di una persona di comprendere e usare due o più lingue in modo simile, senza dover tradurre mentalmente da una lingua all’altra. Tuttavia, non esiste un unico modo di diventare bilingue, né tutti lo diventano allo stesso modo o nello stesso momento della vita. È importante sapere che esistono diversi tipi di bilinguismo, ciascuno caratterizzato dall’età e dal contesto in cui si apprende la seconda (ma a volte anche terza) lingua:
- Bilinguismo simultaneo: quando un bambino impara due lingue sin dalla nascita o entro il primo anno di vita. In questo caso, le due lingue crescono insieme, quasi come fossero una “pianta” con due radici ben distinte. Le parole, i suoni e la struttura delle due lingue si sviluppano parallelamente, creando una base linguistica bilanciata.
- Bilinguismo sequenziale precoce: si verifica quando il bambino inizia ad apprendere una seconda lingua tra i 2-3 anni e gli 8-10 anni. In questa fase, il cervello è ancora molto plastico e riesce a imparare rapidamente. Non è raro che i bambini in questa fascia d’età raggiungano la stessa padronanza in entrambe le lingue, soprattutto se l’esposizione a entrambe è costante.
- Bilinguismo sequenziale tardivo: riguarda quei bambini che iniziano a imparare una seconda lingua dopo gli 8-10 anni, quindi più vicini all’adolescenza. Anche in questo caso è possibile raggiungere una buona competenza, ma generalmente richiede più tempo e pratica per diventare davvero fluenti.
Quando e perché nasce il bilinguismo in famiglia?
Il bilinguismo non è, quindi, una condizione “speciale” o rara. In tutto il mondo, esistono milioni di persone che parlano quotidianamente due lingue. Le situazioni che possono far nascere il bilinguismo sono varie:
- Aree con più lingue: in alcune regioni, come l’Alto Adige in Italia, la convivenza di più lingue fa parte della cultura locale. La popolazione è quindi abituata a comunicare sia in italiano che in tedesco, e questa abitudine è supportata dal sistema scolastico, dalle istituzioni e persino dalla segnaletica stradale bilingue. I bambini che crescono in questi contesti imparano facilmente entrambe le lingue e, soprattutto, le percepiscono entrambe come parte della loro identità. Ma in Italia esistono anche altri esempi di bilinguismo, come quello del ladino, una volta molto diffuso nella fascia alpina, e ora limitato a Val Badia, Val Gardena, Val di Fassa (Trentino), a Livinallongo, Ampezzo (Belluno) e nel Cantone dei Grigioni in Svizzera. Ma non dimentichiamo i bilinguismi presenti in Sardegna, Friuli o in Veneto e molte altre regioni.
- Famiglie che si trasferiscono all’estero: per molte famiglie, trasferirsi in un nuovo Paese significa dover imparare la lingua locale per integrarsi nella comunità. I motivi per questi trasferimenti possono, come sappiamo, essere molto diversi: lavorativi, di studio e quelli più numerosi e complessi, legati a migrazioni per motivi economici, politici e/o di guerra. I bambini si trovano così ad acquisire la lingua madre dei genitori e quella della scuola e degli amici, vivendo un’esperienza che li rende cittadini del mondo. Spesso, in questi casi, la lingua del Paese ospitante diventa dominante perché è quella più parlata fuori casa.
- Genitori di madrelingue diverse: nelle coppie multilingue, il bilinguismo diventa quasi una scelta naturale. Ogni genitore può parlare con il bambino nella propria lingua, permettendogli di crescere con un vocabolario e una comprensione di entrambe le culture. Questa situazione, molto comune nelle grandi città e nelle famiglie internazionali, favorisce una doppia identità culturale e linguistica che arricchisce profondamente i bambini.
- Bilinguismo e sordità: la lingua dei segni italiana è una vera lingua dal punto di vista sociologico, in quanto espressione di una comunità: la comunità dei sordi italiani. È anche una vera lingua con una sua struttura e sintassi: questa è spesso differente dall’italiano ma può avere incredibili similitudini con altre lingue orali. La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (UNCRPD) riconosce che le lingue dei segni sono uguali alle lingue parlate e dovrebbero essere rispettate e promosse. I bambini sordi che acquisiscono la lingua parlata e la lingua dei segni, possono essere considerati bilingui come i bambini udenti che acquisiscono due o più lingue vocali. Questi bambini sordi sono definiti “bilingui bimodali” per la modalità di espressione coinvolta: nei bambini udenti che imparano due lingue vocali l’unica modalità espressiva è quella fono-articolatoria per cui il bilinguismo è definito unimodale, nei bambini sordi che imparano una lingua vocale e una lingua dei segni, le modalità espressive sono due, quella fono-articolatoria e quella visivo-gestuale, per cui questo tipo di bilinguismo è definito bimodale.
Ma cosa fare in queste situazioni? E cosa fare in presenza di disturbi del neurosviluppo? Di questo parleremo nel prossimo blog. Stay tuned!