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Advocacy per DSA e ADHD: il suo ruolo nel sostegno dei diritti dei bambini con neurodiversità 

Che cos’è il concetto di advocacy in relazione ai bambini con DSA e ADHD e in che modo i genitori possono rivestire un ruolo cruciale nel tutelare i diritti dei loro figli a scuola. Un approfondimento sull’importanza di una diagnosi precoce, di una conoscenza approfondita delle normative e delle strategie didattiche, e il valore della self-advocacy che consente ai bambini di difendere le proprie esigenze.

Advocacy per DSA e ADHD: il suo ruolo nel sostegno dei diritti dei bambini con neurodiversità 

Il sostegno per i diritti dei bambini è un tema caldo, nonostante questi siano stati riconosciuti da parte dell’ONU nel 1989 grazie all’approvazione della Convenzione sui diritti dell’infanzia sottoscritta da quasi tutti i paesi del mondo e ratificata dall’Italia nel 1991. 

Il documento è composto da 54 articoli che enunciano i diritti e gli organismi preposti alla loro tutela. Alla base troviamo il principio di non discriminazione, il rispetto del superiore interesse del minore, il diritto alla vita e allo sviluppo e il diritto all’ascolto e alla partecipazione. 

Questo argomento diventa ancor più rilevante, quando si parla di alunni con BES, di cui fanno parte le  condizioni di neurodiversità come i DSA o l’ADHD. Queste possono condizionare significativamente la vita  scolastica e sociale dei minori ed è, quindi, auspicabile garantire il loro diritto allo studio e una educazione inclusiva che sappia sviluppare al meglio le loro personalità e capacità. Per fare in modo che tali diritti vengano  tutelati, può essere utile un’azione di advocacy, che permetta di mettere in luce le fragilità di questi soggetti,  sensibilizzi l’opinione pubblica e indirizzi i decisori pubblici ad analizzare il problema per trovare delle soluzioni  mirate al fine di assicurare anche a questi bambini delle pari opportunità scolastiche.

Che cos’è l’advocacy?

L’advocacy è l’insieme di azioni tramite cui una persona o un gruppo sensibilizzano e orientano l’opinione pubblica su una tematica, legata alla sfera dei diritti e bisogni delle persone, utilizzando mass media o social media, al fine di porre i riflettori su di essa e raggiungere i decisori pubblici. Si tratta, quindi, di una forma di  attivismo, che si differenzia dal lobbying.  

Quest’ultimo si riferisce all’azione di quei gruppi di persone che, senza avere incarichi governativi, si rivolgono direttamente al decisore pubblico per influenzarlo nelle sue scelte in specifici ambiti e perseguire degli interessi  particolari. Il termine lobbying ha, quindi, acquisito un’accezione negativa che fa riferimento alla scarsa trasparenza rispetto alle pressioni effettuate verso il mondo della politica.  

Per una efficace advocacy serve costruire una strategia d’azione verso l’obiettivo, una solida rete di relazioni e consensi e una potente comunicazione. 

L’importanza dell’advocacy per il sostegno dell’inclusività scolastica per DSA e ADHD

Dopo numerose battaglie e azioni di advocacy da parte di associazioni come l’Associazione Italiana Dislessia (AID), è stata approvata in Italia la Legge 170 del 2010 “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico” che riconosce formalmente i DSA e stabilisce il loro diritto a percorsi didattici personalizzati, l’uso di strumenti compensativi e misure dispensative. Proprio perché i soggetti con DSA sono una fetta di popolazione da tenere in considerazione, si è potuto porre particolare attenzione alla tematica, organizzando anche delle Consensus Conference. Queste sono degli strumenti importanti per uniformare la pratica clinica verso tali condizioni, dando delle raccomandazioni evidence-based agli operatori e generando un accordo tra le diverse figure coinvolte. 

Se per i DSA esistono delle regolamentazioni specifiche in ambito scolastico, lo stesso non si può dire dell’ADHD. Esiste, però, una Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 che ha esteso le misure per i DSA anche ad altri  disturbi evolutivi specifici in assenza di disabilità intellettiva. Tra questi vi sono, ad esempio, l’ADHD, il deficit del linguaggio, la disprassia, i quali vengono racchiusi all’interno dell’acronimo BES (Bisogni Educativi Speciali). 

Una legge, in ogni caso, non basta per tutelare completamente i diritti di questi soggetti, tanto che talvolta la sua applicazione risulta superficiale. Il ruolo dell’advocacy, quindi, è anche quello di tenere viva la tematica e garantire che questi diritti vengano sempre rispettati.

genitori e figli

I principali attori nell’azione di advocacy

Quando si parla di advocacy, spesso i primi attori che saltano alla mente sono le associazioni di promozione sociale o organizzazioni no-profit che hanno l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione su un argomento e affrontare le problematiche sociali legate a quella tematica.  

In realtà, l’advocacy è un’azione che tutti noi, nel nostro piccolo, possiamo portare avanti. I genitori di bambini con DSA o ADHD, spesso, sono i primi difensori dei diritti dei loro figli e possono svolgere un ruolo rilevante per tutelare il loro diritto allo studio. Innanzitutto, è essenziale riconoscere i segni precoci relativi a queste condizioni e attivarsi nella ricerca del professionista più adatto, che valuterà la situazione. La diagnosi tempestiva di un disturbo è il punto di partenza per ottenere il sostegno necessario da parte della scuola. Inoltre, la conoscenza delle leggi, delle strategie didattiche e delle misure compensative e dispensative può aiutare i genitori ad avere un dialogo efficace con l’ambiente scolastico e assicurare al figlio tutto l’aiuto  necessario. 

Esiste, però, anche la cosiddetta self-advocacy, ossia la capacità di riconoscere le proprie esigenze e far in modo che il bambino stesso le difenda. Alla base di questa autodifesa, però, ci deve essere: 

  • una buona autostima
  • una comprensione della propria neurodiversità, del proprio funzionamento e delle proprie fragilità;
  • una conoscenza degli strumenti, delle strategie, dei metodi di studio alternativi e delle tecnologie che  possono essere d’aiuto; 
  • una efficace capacità comunicazione dei propri bisogni

La self-advocacy è sicuramente un’importante risorsa, laddove il genitore o altri attori non possono arrivare. Nella quotidianità, infatti, può accadere che non vengano rispettati i diritti dei ragazzi per: 

  • una mancanza di conoscenza e formazione da parte del personale docente circa le neurodiversità;
  • una scarsa disponibilità di mezzi per gestire e sostenere le fragilità di questi alunni;
  • un’assenza di tempo da dedicare alla ristrutturazione della didattica in ottica inclusiva. 

È importante, quindi, che il bambino si faccia valere e lotti per i propri diritti e il rispetto di essi da parte degli insegnanti. L’assertività deve essere alla base della comunicazione, ma, nello stesso tempo, il bambino deve anche tenere in considerazione la posizione autorevole del docente. È importante, quindi, non risultare verbalmente aggressivi o maleducati nei confronti dei maestri o professori. È bene esplicitare con garbo le  proprie esigenze, anche sottolineando che le misure compensative o dispensative non sono privilegi o ingiusti vantaggi, ma delle scelte che permettono di avere pari opportunità di studio. 

Inoltre, occorre ricordare al bambino che i diritti sono sempre accompagnati a dei doveri a livello scolastico: 

  • il rispetto dei compagni e dei docenti; 
  • l’impegno, nonostante le possibili difficoltà; 
  • la cura verso i materiali e l’ambiente scolastico; 
  • l’ascolto dell’insegnante; 
  • lo svolgimento dei compiti assegnati, tenendo conto dei propri limiti.

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