Skip to content

L’importanza di un approccio integrato tra scuola, famiglia e professionisti nell’educazione

Un approccio integrato nell’educazione coinvolge scuola, famiglia e altre figure professionali come pedagogisti, educatori e psicologi. Questo tipo di collaborazione è essenziale per garantire a bambin* e ragazz* con bisogni educativi speciali (BES) o disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) un ambiente di sviluppo sano e inclusivo. La comunicazione tra questi attori permette di personalizzare gli interventi e di prevenire il disagio psicologico e sociale.

L’importanza di un approccio integrato tra scuola, famiglia e professionisti nell’educazione

Parlare di approccio integrato nell’ambito educativo significa affrontare la questione di una collaborazione fruttuosa tra i diversi attori che partecipano allo sviluppo di un minore. Tra questi troviamo principalmente la scuola e la famiglia, ma si possono aggiungere altre figure in base alle esigenze del singolo bambino, come ad  esempio: professionisti sanitari, educatori e pedagogisti, allenatori sportivi, assistenti sociali ecc. 

Nel caso di DSA, o BES in generale, le figure che si riscontrano con più probabilità sono neuropsichiatri infantili, logopedisti, psicologi, educatori e assistenti sociali. La rete di supporto tra questi attori è fondamentale per  garantire al bambino un ambiente di sviluppo sano ed inclusivo.

La famiglia

La famiglia è il primo ambiente che il bambino incontra e rappresenta uno spazio determinante per i suoi itinerari di sviluppo sociale, cognitivo, emotivo e psicologico, soprattutto nei primi anni di vita. Possiamo  definirla come l’unità di base, all’interno della quale un individuo impara a “stare nel mondo”.  

Edward Melhuish, professore e ricercatore, parla di “ambiente di apprendimento familiare” (AAF), inteso come un’offerta di opportunità d’apprendimento, che ha effetti sulle competenze cognitive dei bambini. Si è dimostrato, però, che lo sviluppo non dipende solo dalle interazioni del bambino con i membri della famiglia, bensì anche dalle relazioni, dagli ambienti e dagli eventi che il bambino esperisce nell’ambiente familiare. Le  principali componenti di questo ambiente sono: 

  • Conoscenze e attitudini genitoriali: il livello di istruzione e il sapere relativo alle tappe di sviluppo dei bambini influenzano le pratiche di cura e di educazione dei genitori (utilizzo di materiali educativi  appropriati, impegno a proporre attività significative, capacità di interpretare i segnali del bambino  ecc.). Le attitudini, invece, sono il prodotto delle conoscenze sullo sviluppo infantile e dei valori,  condizionati dalla cultura d’appartenenza e dalle esperienze pregresse dei genitori. Esiste, quindi, una  grande variabilità generazionale, culturale e di genere nell’importanza data ai diversi aspetti educativi. Anche il senso di autoefficacia come genitori svolge un ruolo chiave, avendo degli effetti sulle  competenze cognitive, sociali e di autoregolazione dei bambini. 
  • Pratiche genitoriali, responsività e stili genitoriali: le pratiche riguardano i comportamenti e le azioni offerti come modello di riferimento ai bambini. Proporre diverse opportunità di interazione con altri  bambini, mostrare dei modelli di relazioni positive, condividere esperienze emotivamente ricche e presentare opportunità di collaborazione ad attività di routine aiutano il bambino a sviluppare competenze sociali e cognitive. Pratiche di genitorialità negativa (svalorizzante, punitiva, trascurante), invece, aumentano la probabilità che insorgano comportamenti-problema, aggressività e oppositività. La responsività riguarda, invece, la capacità di rispondere ai comportamenti del bambino in base a ciò  che attira la sua attenzione in quell’istante. Questa abilità dimostra attenzione e comprensione verso le esigenze del minore ed è fondamentale per lo sviluppo della sicurezza emotiva, della socializzazione, della competenza simbolica e delle abilità verbali. Al contrario, quando i genitori sono trascuranti o intrusivi e controllanti, sono più probabili disturbi comportamentali e patologie dell’umore. Lo stile educativo genitoriale, infine, è relativo alla modalità abituale di interazione che il genitore ha con i figli.  Generalmente, vengono riconosciuti quattro stili: autorevole, autoritario, permissivo/indulgente e  trascurante/rifiutante. Solitamente, lo stile autorevole è quello d’elezione, poiché stimola  maggiormente l’autostima, l’assertività, la responsabilità e l’autonomia. 
  • Ambiente fisico, spazi, tempi, oggetti e routine: lo spazio di gioco e di movimento favorisce lo sviluppo e l’autonomia motoria, oltre a favorire la maturazione di aspetti cognitivi, sociali ed emotivi. Ambienti rumorosi possono interferire nel mantenimento dell’attenzione, nello sviluppo delle funzioni esecutive e produrre stress. All’interno degli spazi, troviamo anche la loro adeguata organizzazione: la routine  aiuta il bambino a strutturare il suo tempo e avere un certo grado di ordine mentale.  
  • Sistema familiare esteso ed eventi familiari negativi: ad oggi la famiglia non è più un nucleo formato dai soli genitori, bensì da altre figure che hanno un peso nello sviluppo del minore. Si parla, quindi, sempre di più di sistema familiare, il quale opera attraverso relazioni, ruoli, culture di riferimento,  esperienze vissute (positive o negative), ambienti di vita e definisce un clima educativo generale.  
genitori insegnanti

La scuola

La scuola rappresenta il secondo ambiente con il quale il bambino si confronta e si tratta del luogo degli apprendimenti per antonomasia. Sebbene, spesso, venga sottolineato il suo ruolo nello sviluppare conoscenze e un importante bagaglio culturale, la scuola è anche uno spazio d’incontro, di costruzione della propria identità, di inclusione e crescita personale, che insegna al bambino come vivere in una comunità, come interagire e costruire amicizie, come acquisire un certo grado di responsabilità e autonomia. I vari passaggi  della scuola in Italia sono i seguenti: 

  • la scuola dell’infanzia, la quale è un prolungamento dell’educazione familiare che concorre ad un  generale sviluppo affettivo, psicomotorio, cognitivo e sociale; 
  • la scuola primaria, che mira all’acquisizione degli apprendimenti di base e alla loro consolidazione; – la scuola secondaria, che ha l’obiettivo di offrire conoscenze e competenze spendibili nel mondo del  lavoro o nella prosecuzione dello studio a livello specialistico. 

A tutto ciò si aggiunge la convivenza con un gruppo classe che permette al bambino di prendere coscienza della presenza di altri (adulti e bambini), anch’essi con i propri diritti, le proprie personalità, i propri modi di  comportarsi che richiedono pazienza, compromessi, collaborazione e disponibilità. L’altro, però, non deve essere visto come limitazione, ma come arricchimento, come opportunità di conoscere la diversità e come occasione di gioco e apprendimento.

Altri attori e professionisti

Quando parliamo di DSA, o BES in generale, la famiglia e la scuola non sono mai gli unici attori che si occupano dello sviluppo e dell’educazione dei bambini. Intorno a questi due ambienti, gravitano altre figure come professionisti sanitari (in genere, pediatri, neuropsichiatri infantili, psicologi, logopedisti), tutor, educatori,  pedagogisti, psicomotricisti o assistenti sociali. Il panorama è vasto, ma ognuno di essi può avere un ruolo importante nell’assistere e supportare la crescita di questi bambini.  

Solitamente, i professionisti sanitari si occupano della diagnosi, del potenziamento cognitivo, del supporto  genitoriale e di quello psicologico del ragazzo, delle eventuali terapie farmacologiche o interventi psicoterapeutici, della redazione di linee guida per la scuola e la famiglia, utili nella gestione delle fragilità del  minore. 

Educatori, tutor e pedagogisti sono essenziali nella comprensione degli stili di apprendimento del bambino, nel  sostegno allo studio attraverso strategie, organizzazione dei materiali, gestione del tempo ecc. Per di più, possono essere un utile intermediario tra scuola e famiglia, partecipando anch’essi alla redazione del PDP, oltre ad essere valide figure per interventi psicoeducativi verso genitori e insegnanti (es. Parent Training, Teacher Training). 

Gli psicomotricisti hanno un ruolo fondamentale quando il bambino ha bisogno di una sperimentazione  corporea per poter costruire competenze cognitive, comportamentali, relazionali, comunicative ed emotive. Inoltre, la neuropsicomotricità può essere utile nello scarico della tensione e nella soddisfazione del bisogno di  movimento, soprattutto nell’ADHD.

Gli assistenti sociali entrano in gioco quando si rende necessaria un’analisi e una valutazione di situazioni a  rischio, di disagio o bisogno sociale, individuale, familiare o di gruppo. Sono fondamentali, anche, nel sostegno dei genitori nei processi di accesso ai servizi comunitari, nella fruizione dei propri diritti, nella progettazione di programmi di sensibilizzazione e protezione sociale.

Una sinergia necessaria

La scuola e la famiglia percepiscono in modo diverso il bambino e questo è dovuto dal diverso ambiente con  cui il bambino si rapporta, dal diverso assetto mentale degli attori, che li porta a focalizzarsi su aspetti differenti, e dalla diversa funzione educativa delle parti. La famiglia, ad esempio, potrebbe fornire agli insegnanti preziose informazioni su abitudini, preferenze e difficoltà del bambino. Non si tratta, quindi, di due visioni in contrasto,  bensì di due lati della stessa medaglia. Proprio per questo è indispensabile una stretta comunicazione scuola-famiglia, che permetta la condivisione e la consapevolezza circa le direzioni di sviluppo del bambino e  l’espressione della sua personalità nei diversi ambienti frequentati.  

Fin dall’iscrizione a scuola, infatti, viene redatto e firmato un documento chiamato “Patto educativo di corresponsabilità”, il quale contiene i principi e i comportamenti che scuola, alunni e famiglia si impegnano a rispettare. Gli insegnanti e i genitori, infatti, condividono sia i destinatari della loro azione (alunni/figli) sia le  finalità (istruzione/educazione), ma talvolta insorgono delle problematicità legate al rispetto dei ruoli, delle competenze, dei compiti e delle libertà di queste figure. Nell’esercizio della corresponsabilità e dello scambio comunicativo, la scuola avrà una responsabilità sociale, poiché andrà a formare nuovi cittadini e a costruire un nuovo substrato della società. La famiglia, dall’altro lato, dovrà esercitare un ruolo propositivo, partecipando alla definizione di valori, finalità e obiettivi delle scelte educative, contribuendo alla progettazione educativa scolastica e ponendo le basi per collocare i tasselli dell’itinerario formativo. 

Oltre a questi due attori, però, esistono una serie di altre figure, che concorrono allo sviluppo globale del minore. Queste, con le loro diverse competenze, possono offrire delle prospettive differenti sull’andamento di crescita del bambino e sulla gestione di determinate situazioni o condizioni. Dunque, al di là del ruolo specifico e fondamentale di ogni protagonista in questo processo, la vera forza del sistema educativo e di supporto al minore sta proprio nella loro cooperazione. Sarebbe auspicabile, quindi, il raggiungimento di un approccio  integrato, ossia una rete di collaborazione o un sistema educativo esteso. Questo permetterebbe di: 

  • rilevare precocemente le fragilità e le difficoltà di minori, evitando l’aggravamento; 
  • personalizzare gli interventi
  • sostenere lo sviluppo globale del bambino, permettendogli di vivere in ambienti sani ed inclusivi; 
  • prevenire il disagio psicologico e sociale, dato da situazioni di isolamento, bullismo ed emarginazione.



Ti è piaciuto l'articolo? Condividilo!

Facebook
LinkedIn
Email
WhatsApp