Venire a conoscenza che al proprio figlio è stato diagnosticato un DSA o l’ADHD può turbare particolarmente i genitori. Questo momento delicato necessita, quindi, di un supporto particolare da parte dei professionisti che si occupano di comunicare la diagnosi. Ad essi spetta, infatti, il compito di spiegare alla famiglia di cosa si tratti ed informarla sugli interventi che si possono attuare.
Cosa fare se a mio figlio hanno diagnosticato un DSA?
La diagnosi di DSA viene rilasciata quando è presente una discrepanza tra il livello intellettivo generale (intelligenza) e uno o più apprendimenti di base (lettura, scrittura e/o uso dei numeri). Ad esempio, un bambino con una intelligenza nella norma per la sua età e un’abilità di calcolo significativamente inferiore rispetto ai coetanei è un divario inaspettato, che funge da indicatore per la presenza di discalculia.
L’arrivo di questa diagnosi non deve allarmare i genitori e modificare la visione che hanno di loro figlio, ma semplicemente consapevolizzarli sul suo funzionamento cognitivo per tutelarlo e supportarlo al meglio. La diagnosi apre la strada a diversi interventi che mirano al sostegno delle persone con DSA su vari versanti.
Potenziamento cognitivo
Ad un bambino con DSA può essere utile un percorso di potenziamento cognitivo che mira ad allenare e migliorare le abilità più lacunose. Durante gli incontri il bambino eseguirà delle attività che lo aiuteranno ad esercitare le abilità in questione, a ridurre gli errori e ad apprendere delle strategie per compensare le sue fragilità. Questo intervento può essere eseguito da uno psicologo esperto in DSA o da un logopedista e comprende il potenziamento di: prerequisiti degli apprendimenti, lettura strumentale, comprensione del testo, abilità ortografiche e grafo-motorie della scrittura, calcolo, problem solving matematico, metodo di studio e capacità d’uso degli strumenti compensativi.
Sostegno psicologico
I bambini con DSA possono sperimentare vissuti di frustrazione, bassa autostima e autoefficacia che possono influenzare negativamente la motivazione e portare lentamente a fenomeni di abbandono scolastico (drop out). In tal senso può essere utile un percorso di sostegno psicologico che aiuti il bambino a prendere consapevolezza del suo funzionamento e a sviluppare una percezione positiva di sé. A tal proposito, è utile lavorare dapprima sulla metacognizione, ossia la capacità di ragionare sul proprio peculiare modo di elaborare le informazioni e di gestirlo. Questo gli permetterà di trovare il metodo di studio più adatto al fine di acquisire maggior autonomia, accettarsi e aumentare la propria autostima.
Se dovessero insorgere problematiche d’ansia, stress o ritiro sociale, è possibile proporre un percorso di psicoterapia atto a ridurre i sintomi e a lavorare su pensieri disfunzionali. Il percorso può coinvolgere anche la famiglia per lavorare insieme sulle criticità riportate all’interno della sfera familiare e costruire una rete che sostenga al meglio il bambino.
Intervento psicoeducativo
L’intervento psicoeducativo mira a promuovere un’adeguata conoscenza della condizione, delle sue manifestazioni, degli strumenti e strategie per gestirla e migliorare la qualità di vita degli individui. Questo intervento deve essere rivolto al bambino (tutoraggio), ai genitori (Parent Training) ma anche agli insegnanti (Teacher Training), in modo tale da formali a riconoscere e adattare i loro metodi didattici alle esigenze degli alunni con DSA.
Dopo aver fatto protocollare la diagnosi alla scuola, sarà possibile redigere il PDP (Piano Didattico Personalizzato), ossia uno strumento in cui si chiariscono le misure da adottare per garantire un percorso scolastico di qualità all’alunno con DSA (es. strumenti compensativi e/o dispensativi da introdurre, forme di
valutazione da utilizzare ecc.). L’integrazione dei supporti tecnologici e tecnologie assistive (tablet, computer, LIM ecc.) nella didattica è un punto fondamentale per consentire agli studenti di apprendere in modo efficace attraverso esperienze multisensoriali. Inoltre, sono dispositivi in grado di supportare software di lettura, scrittura e calcolo capaci di compensare le difficoltà degli alunni con DSA.
In particolare, un utile aiuto per il bambino con DSA può essere il tutor degli apprendimenti, un professionista che lo potrà aiutare a comprendere il suo funzionamento cognitivo e ad individuare il suo stile d’apprendimento. Attraverso la prova di diverse tecniche e strategie di studio, l’organizzazione dei materiali, la gestione del tempo e di altri elementi essenziali allo studio, questo professionista affiancherà lo studente durante i compiti per casa e lo aiuterà ad accrescere la sua autonomia.
Cosa fare se a mio figlio hanno diagnosticato l’ADHD?
La diagnosi di ADHD, invece, viene rilasciata quando vengono soddisfatti dei criteri stabiliti dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM). Questi prevedono la manifestazione di disattenzione e/o iperattività e impulsività per almeno sei mesi all’interno di due o più ambienti di vita. Inoltre, tale presenza deve causare problemi significativi nella vita quotidiana dell’individuo, non deve essere spiegata da altre condizioni e deve emergere prima dei 12 anni.
Anche in questo caso, la diagnosi permette ai genitori di direzionare lo sguardo verso alcuni interventi che potranno aiutare il bambino.
Terapia farmacologica
L’intervento farmacologico è particolarmente efficace nel controllare i sintomi principali dell’ADHD, quali iperattività e disattenzione, nell’80% – 90% dei casi. Le linee guida raccomandano un primo intervento basato su approcci psicosociali, che può essere accompagnato dall’uso di medicinali, dietro valutazione del medico e in caso di ADHD moderato o severo. La classe di farmaci più studiata è quella degli psicostimolanti e il più utilizzato nei bambini e adolescenti tra i 6 e i 18 anni è il metilfenidato (es. Ritalin). Un altro farmaco, non psicostimolante ma specifico per l’ADHD, è l’atomoxetina (es. Strattera). Può essere somministrato sia ai bambini sopra i 6 anni, quando gli psicostimolanti risultano inefficaci o causano effetti collaterali, sia agli adulti.
Terapia cognitivo-comportamentale
Le linee guida di trattamento per l’ADHD indicano la terapia cognitivo-comportamentale come un efficace intervento nei bambini e adolescenti tra i 6 e i 18 anni. Questa permette di ottenere miglioramenti più duraturi quando affiancata alla terapia farmacologica e consente di lavorare su importanti aree come la capacità di autocontrollo e l’alfabetizzazione emotiva, le abilità sociali e relazionali, l’autostima e il problem solving.
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La terapia neuropsicomotoria ha un approccio globale alla persona basato sul gioco. Attraverso di esso, si attiva una sperimentazione corporea che porterà a costruire competenze cognitive, comportamentali, relazionali, comunicative ed emotive. Nell’ADHD si potrà lavorare specificatamente su alcuni aspetti salienti di questa condizione, quali: attenzione, controllo motorio, pianificazione e regolazione delle emozioni. Inoltre, la forte componente motoria di questa terapia permette al bambino con ADHD di scaricare la tensione e soddisfare il suo bisogno di muoversi.
Interventi psicoeducativi
Parent Training
Il Parent Training è un intervento che consente ai genitori di migliorare la comprensione del funzionamento cognitivo del figlio con ADHD e di sviluppare in loro delle abilità di gestione dei comportamenti problematici. Si basa, quindi, sulla ristrutturazione dei pensieri distorti legati al figlio e sull’insegnamento di strategie comportamentali per far fronte alle caratteristiche del figlio. Le strategie comprendono il modo in cui dare istruzioni al figlio, come rinforzare positivamente i comportamenti accettabili e ignorare quelli indesiderati, come usare la punizione e come strutturare la loro vita familiare.
Teacher Training
Sarebbe opportuno anche intraprendere una procedura di consulenza sistematica agli insegnanti (Teacher Training) per formarli sulla gestione dei bambini con ADHD. Questi incontri favoriranno la comprensione di questa condizione, daranno dei suggerimenti sulla progettazione di un sistema di rinforzo e punizione e sulla strutturazione di un ambiente classe efficace, insegneranno delle strategie didattiche e metodi alternativi utili all’apprendimento del bambino (anche grazie all’uso di supporti tecnologici) e indicheranno come lavorare in classe per promuovere la relazione tra pari. Anche per l’ADHD, come per i DSA, la scuola potrà redigere un PDP per assicurare delle eque opportunità di apprendimento al bambino.
Tutoraggio
Oltre alle strategie utili anche per i DSA, nell’ADHD sarebbe opportuno affiancare un lavoro sulla metacognizione. Si tratta dell’insieme delle conoscenze che si hanno circa il proprio funzionamento cognitivo e il controllo che si possiede di esso. Diversi studi hanno sottolineato l’importanza di un approccio metacognitivo capace di implementare gradualmente le abilità dell’alunno ad essere “amministratore” diretto dei propri processi cognitivi. La metacognizione è una capacità trasversale ai processi di apprendimento, ma molto utile nel supporto di chi è più fragile in tale ambito. Il tutor, quindi, avrebbe l’obiettivo di sviluppare nel bambino la competenza di “imparare ad imparare”: valutare la difficoltà di un compito, stimare il tempo necessario a svolgerlo, prevedere quante risorse serviranno, monitorare l’esecuzione, anticipare il risultato e valutarlo conseguentemente. Tutto ciò migliora gli stessi processi cognitivi e la motivazione, promuovendo un successo formativo.